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La tradizione del Palio Marinaro

Che nel 2000 si sia svolto il XXXIII Palio H Marinaro farebbe pensare che il Palio sia una istituzione recente, di soli 33 anni.

Trentatreesimo sta invece a significare che sono passati trentatré anni da quando il Comitato Festeggiamenti Patronali decise di far costruire tre lance da regata dal cantiere Mileo di Porto Santo Stefano. Era il 1968. Da quel momento il Palio ha avuto una maggiore organizzazione ed ha acquistato un briciolo di fama attraverso i giornali. Importante, per i Gigliesi, il Palio lo è sempre stato.

Fino al 1967 si era disputato con barche private, il meno diseguali possibile e messe a disposizione per l’occasione dai pescatori e dai marinai del Porto. Una barca per ognuno dei tre Rioni: MOLETTO, vestito di giallo e celeste, è la zona del porto che prende il nome dal molo di ponente; CHIESA, la parte centrale del paese, dominata dalla chiesa parrocchiale dedicata ai SS. Lorenzo e Mamiliano, i cui colori sono verde e bianco; SARACENO, il borgo più antico, caratterizzato dalla torre medicea che serviva per l’avvistamento delle navi pirata, risalente al 1500, con le sue vivacissime brigate “rossonere”.

I veterani non potranno certamente dimenticare le vittorie riportate dallo Spunciao, una barca di legno di pino dalla linea snella, che una volta lanciata chi la fermava più? Gli equipaggi ed i tifosi dei vari rioni se la contendevano.

I momenti che precedevano il Palio erano vissuti con ansia e apprensione, la fondamentale scelta della barca, gli ultimi preziosi consigli dei vecchi e le lunghe interminabili discussioni.

Tra le altre gloriose e indimenticabili barche sono da ricordare il mitico Norge, la Speme, l’Agnese e l’Emilia.

Quando una barca era giudicata idonea, vale a dire andava a genio, i ragazzi degli equipaggi non esitavano addirittura a smontare il motore entrobordo, asse ed elica comprese, se la barca ne era provvista. Si spostavano panche e nottole per trasformarla in lancia da competizione e rimontare tutto, a gara conclusa, dopo San Lorenzo.

Successe così anche per l’Augusta, la barca di Baffino, che ignaro della scelta caduta sul suo gozzo e accorgendosi per caso di quanto stava accadendo, si presentò sulla spiaggia armato di minacce con tanto di cuoio alto così.

Altra battaglia era quella per accaparrarsi i remi migliori, i più robusti e al tempo stesso leggeri. Le carene delle barche erano unte, strofinandovi foglie di fico d’india, come se fosse sciolina di modo che “scivolassero” sull’acqua.

Oggi si può ridere di quegli ingenui accorgimenti, fatto sta che per il desiderio di vincere se ne inventavano di tutte. E nei fermentosi anni ’60 furono  diversi i personaggi che contribuirono alla leggenda del Palio, eroi del remo.

C’erano Miglianino Rossi, Angelo Rum detto “Gregory”, Angelo di Simone fratello di Beppe, Costanzo “Barattolo”, Giovanni “Toro”, Leli “del Patato”, Nando “Ghiandone”, Libero. Più indietro di  una decina d’anni Angiolino e Demo “di Mecai”, Gino Galli, Elso “Morena”, Antonio “Roglia”, Beppino “di Milena”, Mario Rum meglio conosciuto come “Pipetta”, dai muscoli che “ogni palata tre miglia”, ed altri.

Il Palio è disputato, con equipaggio composto da quattro rematori e timoniere, il 10 agosto, in occasione della ricorrenza di San Lorenzo, Patrono di Giglio Porto. Questa tradizione ha origini che si perdono nel tempo, sicuramente ha un secolo di vita e con molta probabilità la sua nascita è ancora più antica. Purtroppo non si ha documentazione scritta precisa, di certo si sa che l’abbinamento degli equipaggi ai tre rioni è avvenuto solo nel secondo dopoguerra.

In precedenza il Palio era disputato fra gruppi di ragazzi che sfidandosi formavano tre equipaggi. Si trattava per lo più di pescatori, il cui allenamento era quello giornaliero del lavoro. Infatti, con le menaite raggiungevano le zone più pescose dietro l’isola e poi portavano il pescato, soprattutto sardine ed acciughe, al mercato più fruttuoso dell’Argentario, sempre a remi. Più che una gara dunque, il Palio era una sfida fra gli uomini più forti di Giglio Porto. Negli anni tra le due guerre si ricordano ancora i nomi di “Papa”, “Batteria”, Lorenzo “del Rosso”, Paolino “del Barre”. Finita la festa e il Palio ripartivano per la pesca notturna con le lampare.

Con San Lorenzo terminava la stagione di pesca del pesce azzurro e iniziava quella dell’altro tipo di pesce. Inizialmente il Palio era corso su una sola corsia di 500 metri dallo scoglio della Gabbianara, sulla punta del Lazzaretto, fino alla spiaggia del porto. Vinceva la barca che per prima si incagliava sulla sabbia della marina del porto. La sfondatura della spiaggia poteva però favorire il secondo e non il primo arrivato. L’inconveniente, con la stesura di una cima che delimita il traguardo a pochi metri dalla riva, è stato eliminato.

Con il tempo, il Palio si evolveva, vennero introdotte le prime semplici regole non scritte e aumentava il percorso della gara. Dalle prime gare con partenze dalla spiaggia e una virata intorno alla Gabbianara, si è giunti, gradualmente nel 1970, all’attuale corsa di 3000 faticosissimi metri.

Attualmente si effettuano cinque giri di boa che danno anche al timoniere la possibilità di esprimere le proprie capacità, specie quando la gara si svolge in condizioni meteomarine avverse, con vento e mare di traverso.

L’arguzia del timoniere sta appunto nell’abbordare la boa, lasciandola passare da sinistra, senza fermare la barca, sfruttando l’abbrivo e vincere magari la gara senza avere a bordo l’equipaggio favorito.

All’arrivo era usanza, mantenuta ancora oggi, di buttarsi in mare vestiti e abbordare le barche dei propri beniamini. Con l’andar del tempo, le pratiche e le regole sono divenute meno rudimentali e approssimative; il posizionamento e l’allineamento delle sei boe, tre nel porto e tre lungo la scogliera del Lazzaretto; l’acquisto di nuovi remi, più lunghi e ad incastro; l’adozione di nuove nottole, più strette e non larghe quanto il bordo, in modo da diminuire l’attrito e quindi la fatica e infine una migliore disposizione a bordo degli equipaggi.

Molte sono le linee di pensiero riguardanti la disposizione degli equipaggi. Il Bearzot della situazione, Costanzo Basini (il famoso “Barattolo”) asserisce che i due rematori più forti debbano stare al centro, il più alto a prua, perché una palata più lunga favorisce le virate.

Lo studio infine di una sempre più perfezionata tecnica di voga, adatta al tipo di lancia usata; appoggio delle gambe e dei piedi; tecnica di voga consistente nel tirare il reme verso prua con attacco veloce in acqua, palata lunga con buon finale, da ben sfruttare fino in fondo, con un colpo, tutto il corso del reme, senza farlo girare, senza piegare la schiena e soprattutto senza andare incontro al reme, che ciò accorcerebbe la lunghezza della palata e poi il via di braccia, portando reme verso le ginocchia.

Ogni barca da competizione remiera richiede, infatti, un diverso sistema di voga.

All’arrivo i vincitori vengono portati in trionfo in spalla, salutati dal suono allegro della banda. Non mancano lacrime di gioia e di delusione, né mancano discussioni, che sono in fondo l’anima del Palio. Se ne sentono di tutte: “c’era troppo mare di scirocco”; “le boette erano storte”; “quella barca ha tagliato la strada”.

Il rituale del dopo Palio, con tutti i suoi battibecchi, va avanti fino a dopo mezzanotte, quando i fuochi artificiali con il loro gaio fragore chiuderanno come sempre la festa di San Lorenzo.

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