È anche Donna…

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Il Palio Marinaro femminile

Nel 1979 il Comitato organizzatore dei festeggiamenti di San Lorenzo decise di istituire il Palio Marinaro Femminile, che da allora si è svolto ogni anno.

Naturalmente il Palio Femminile comporta un minore impegno fisico ed il suo regolamento prevede il percorso di due sole corsie (andata e ritorno dalla Gabbianara); il timoniere è invece sempre di sesso maschile.

Anche il Palio delle ragazze può in qualche modo rappresentare la memoria storica della partecipazione delle donne di Giglio Porto alle attività marinaresche.

Infatti nei tempi passati le donne collaboravano ai lavori di mare non solo con occupazioni più consone al loro stato, come rammendare le reti sedute sulla spiaggia (ormai quasi perse dalla memoria collettiva figure tradizionali di cui rimangono solo i soprannomi: “zi’ Margheritella, la “Ghiozza“, la “Berilla, la “Barbottona“… ma non esitavano spesso a seguire i loro mariti, specialmente nei viaggi sui bastimenti di famiglia.

E naturalmente sapevano remare.

La vecchia “Checca della Marchesina” si recava a zappare la vigna dei “Puntoni” non a piedi, ma via mare remando sulla “Benedetta“, vecchio e pesante guzzo reso più faticoso da far muovere in mare da un difetto di fabbrica (aveva la chiglia storta); è ancora vivo il ricordo, in tempi più recenti, della vecchia Marianna che, guardiana di una villa alla “Caletta“, andava e tornava in barca remando “di sia“, ossia di faccia, cercando di sfruttare nello sforzo della voga il peso del suo magro corpo.

Quando fu istituito il Palio Femminile alcuni abitanti dei centri marittimi vicini commentarono con ilarità l’idea dei Gigliesi di far cimentare delle ragazze in un impegno rude come la disputa di un Palio Marinaro. Probabilmente, all’epoca, nemmeno gli stessi ideatori del Palio Marinaro Femminile immaginarono di avere avuto nella stessa Isola del Giglio, un precedente tanto antico e tanto singolare, precisamente a Giglio Campese nel 1768.

Anche allora ci fu chi derise e addirittura si scandalizzò di vedere delle donne competere in un Palio Marinato. La polemica si ingigantì fino a diventare un fatto di Stato.

Ed alle persone che più si erano scandalizzate (il diacono, il vicario ed il cappellano di allora) la propria indignazione costò la condanna all’esilio da tutto il Granducato di Toscana.

Riviviamo questa insolita, antica e curiosa vicenda nel seguente racconto che ce ne fa Ersilio Michel.

 

Un piccolo conflitto fra Stato e Chiesa


Nell’agosto del 1786 si svolgeva all’isola del Giglio un piccolo fatto che turbò per qualche tempo la quiete e la pace degli isolani, che mise le une contro le altre le autorità civili e religiose locali e regionali, e che rese in ultimo necessario l’intervento del Governo Granducale.

Pure l’avvenimento non poteva avere origini più mo­deste e più umili. Il 16 del mese accennato, cioè il giorno successivo alla solennità dell’Assunta, in una piccola chiesa che sorgeva verso la Torre del Campese e che dicevasi sottoposta alla religione di Santo Stefano, si cele­brava la festa di S. Rocco e si esponeva alla pubblica venerazione una reliquia del Santo, che dopo i vespri, secondo la costumanza, si doveva trasportare processionalmente in Campese. Ma i festaioli, come si chia­mano anche oggi in Toscana i promotori di feste religiose e civili, avevano ideato, oltre la cerimonia religiosa, anche vari divertimenti profani e particolarmente un palio di barchette che doveva essere corso da alcune fanciulle isolane. Il sottotenente Modesti, castellano della Torre del Porto, non trovò motivo per impedire quella gara che gli sembrava lecita e innocente. Ma il sacerdote Pietro Francesco Miliani, cappellano della Chiesa del Campese, giudicandola indecente e disonesta non esitò a biasimarla e a far le sue più fiere rimostranze ai festaioli perché non avesse luogo. Poiché le sue parole non erano ascoltate e i suoi sforzi risultavano inutili, minacciò di levare immediatamente dalla Chiesa la reliquia del santo e di  portarsela via, e non avendo nemmeno con questa minaccia raggiunto lo scopo di far abbandonare l’idea del palio di ragazze, senz’altro, saliti i gradini dell’altare sottrasse alla vista e alla venerazione dei fedeli la sacra teca. Subito si levò nella Chiesa, tra il popolo, un grave sussurro e per impedire che nascessero disordini e si commettessero violenze il Castellano diede ordine che due sentinelle si mettessero alla porta della Chiesa e impedissero l’uscita del cappellano Miliani con la reliquia. Di lì a poco, a causa di questa misura presa dall’autorità dovette rinunciare ad ogni suo proposito, senza aver prima considerato che il castellano e i soldati avevano usato violenza alla Chiesa e non avevano rispettato il di lui carattere sacro. Ma alla sua volta il castellano affermava che il Sacerdote aveva mancato di rispetto a lui e ai soldati e si era voluto arrogare una autorità che non aveva diritto di esercitare nella Chiesa del Campese. Frattanto la cosa fu riferita al governatore dell’isola che non dando importanza all’incidente si adoperò perché si riappacificassero, e tutti tornassero nell’antica casa del castellano.

 

Nella casa del castellano fu tenuto un rinfresco: presero parte le varie autorità e lo stesso cappellano, la pace parve, fra calici, conclusa e suggellata. Ma doveva avere uno strascico piuttosto lungo. Il sacerdote Miliani e un suo fratello del Campese nei giorni successivi informarono di quanto avvenuto Il Vicario Generale ecclesiastico Betello ed accusarono il castellano e i due soldati di vio­lata immunità della Chiesa. Pochi giorni dopo il Vicario Don Antonio Betrani, che forse era già stato messo a parte della cosa verbalmente da qualche testimone ocu­lare, giudicò fondata l’accusa e per mezzo di un certo sacerdote Giovanni Girolamo Mai del Giglio suo Vicario Faraneo, fece notificare al Castellano e ai soldati che erano incorsi nelle censure e che veniva loro proibito intervenire ai divini uffici. L’ammonizione veniva prima fatta verbale e poi a mezzo di questo biglietto:

«Sig. Castellano riveritissimo
Giglio 14-IX -1768

il signor Antonio Betrani, Vicario Generale di Orbetello, m’im­pone notìficarvi che, essendo stati messi due soldati alla porta della Chiesina di S. Rocco del Campese di vostro ordine affinché il sacerdote cappellano Pier Francesco Miliani non uscisse da detta Chiesa con la reliquia di S. Rocco, come pure avendo voi stesso con le vostre proprie mani ritenuto il proprio sacerdote affinché non estraesse dalla Chiesa la reliquia suddetta, perciò, come violatore delle immunità ecclesiastiche siete incorso nelle censure, le quali vi proibiscono che voi non interveniate ai divini uffici. Tanto mi viene imposto notificarvi. Eseguite quanto vi viene imposto per non incorrere in maggior pene ecclesiastiche, con che passo a dichiararmi

Vostro servo ed amico
Gio. GirolamoMai Vie. Far.»

Forse in un primo tempo l’ammonizione si dovette limitare alla persona del castellano perché la domenica successiva uno dei soldati di nome Arienti si recò in Chiesa per assistere alla messa cantata ma ne veniva pubblicamente discacciato come uno dei compresi nella censura. Allora probabilmente anche a lui e all’altro sol­dato che dal castellano erano stati comandati di sentinella alla porta della Chiesa del Campese, fu data comu­nicazione scritta della censura ecclesiastica, nella quale erano tenuti a cadere solo per aver ubbidito ad un ordine del loro superiore:

«Voi, Francesco Stefani, soldato per SA.R. alla Torre del Cam­pese per ordine del Rev.mo Sig. Antonio Betrani Vicario Generale di Orbetello, dovete astenervi d’intervenire ai divini uffici per essere voi staio posto alla porta della Chiesa di S. Rocco, armato con schioppo per trattenere il Sac. Pier Miliani se elio stesso fosse uscito con la reliquia di S. Rocco

Giglio 25-IX-1768
Gio. GirolamoMai Vie. Far.»

Frattanto per iniziativa di un promotore fiscale a prò della Chiesa di cui non ci è dato di conoscere il nome, veniva fatta istanza di inquisire sulla materia; e tanto castellano Modesti quanto i due soldati Arienti e Stefani venivano invitati dal nominato Vicario a presentare una supplica per essere prosciolti dalla censura ecclesiastica. Ma i tre militari, che, pur vivendo relegati in una piccola isola e non avendo, come è facile immaginare, una grande istruzione, non ignoravano certamente che in Toscana dopo l’avvento della casa di Lorena, non spirava più agli antichi privilegi ed abusi della Chiesa vento troppo propizio, rispondevano alle sollecitazioni che non vi si sarebbero mai potuti arrendere, se prima non ne avessero ricevuto l’autorizzazione dai loro superiori. Allora lo stesso Vicario Gio. Girolamo Mai si rivolgeva diret­tamente al Governatore dell’isola e lo pregava di volere autorizzare il sottotenente Modesti e i due soldati a presentare la supplica per essere prosciolti dalla censura. Ma anche il Governatore dell’isola si ricusava all’invito del Vicario Faraneo ed il 17 ottobre informando del rifiuto il Marchese Burbon del Monte, governatore di Livorno, da cui dipendeva, ne specificava in questo modo le ragioni:

«

  1. che l’operato di detto Castellano e soldati non fu certamente diretto a violare l’ecclesiastica immunità, né ad offendere il prete, ma soltanto ad evitare i maggiori inconvenienti e a tenere in freno il popolo tumultuoso;

  2. che la detta lettera di scomunica è stata notificata per ordine del cardinale Pomphily, nuovo ordinario dell’isola del Giglio, il quale non apparisce abbia preso alcun legittimo possesso, né vi è alcun ordine che tale debba considerarsi;

  3. che si è fatto nascere a tale effetto nel Giglio un ignoto promotore fiscale per l’Ecclesiastico che non è mai stato e che alla di lui istanza il Vicario Generale di Orbetello è preceduto a tutti i passi sopra descritti senza altra cognizione di causa o esame.

»

Il Governatore di Livorno alla sua volta, il 26 ottobre informava il governo centrale di tutto quanto era av­venuto all’isola del Giglio e, rimettendo un estratto della “rappresentanza” dello stesso governatore dell’isola del Giglio e vari altri documenti, chiedeva che, sentito il Segretario della giurisdizione o quei magistrati che si ritenessero più competenti gli fosse comunicata la de­cisione superiore e trasmessi gli ordini per la risoluzione e definizione della vertenza. Ma a Firenze, o perché non si sapesse in principio a quale particolare ufficio affidare l’esame della cosa o che si facessero altre questioni più gravi a risolvere, la pratica relativa al conflitto tra autorità civili e religiose dell’isola del Giglio fu per qualche tempo, come si dice, lasciata dormire o quanto meno passata da un ufficio all’altro senza che si prendesse una decisione.

Gli interessati della vertenza e soprattutto il castellano Modesti che vivevano nella breve cerchia del paese è che quasi ogni giorno si venivano a trovare a contatto con il cappellano Miliani e con i suoi amici, non erano né potevano essere contenti di questo indugio. Perciò il Castellano e i soldati, che non avevano più potuto assistere a nessuna funzione religiosa inviarono la prima metà di dicembre per il tramite del marchese Burbon del Monte una supplica al Granduca Pietra Leopoldo perché si fosse degnato di abbassare gli ordini per la decisione della vertenza. Passarono ancora radi quindici giorni e finalmente giunse la risoluzione sovrana che non poteva essere più che favorevole per le autorità civili e militari.

La censura ecclesiastica contro il Castellano e soldati era giudicata contraria ai regi diritti e destituita di alcun fondamento di ragione; il cappellano Miliani, il provicario Mai e il diacono Rossi che avevano indebitamene proceduto alla combinazione della detta censura erano esiliati da tutto il territorio granducale. Tali ordini venivano comunicati dai ministri Rosemberg Rucellai per il tramite del governatore di Livorno al governai dell’isola del Giglio ed insieme si doveva far conoscer» pubblicamente che il Castellano e i soldati, non avendo! commesso alcuna colpa, erano esenti da ogni pregiudizio che poteva essere loro derivato dalla intimata censura ecclesiastica.

Tale è la fine di questo dissidio che dimostra ancora una volta come il Governo Lorenese procedesse deciso e risoluto nel tutelare i diritti dello Stato contro le soverchia invadenza della Chiesa.

Gara del Palio femminile, disputata il giorno 2 agosto 1981
L’equipaggio vincente sulla barca “Cannelle” era composto da:
Lucia Rum, Giovanna Rum, Marilena Pini, Giulia Solari e Aldo Mollo (timoniere)

Palio femminile  del 2 agosto 1981

Equipaggio 2° classificato :

1° reme Daniela Cavero
2° reme Annamaria
3° reme Lorenza Rum
4° reme Sabrina Basini
Timoniere Tonino Ansaldo

Palio femminile  del 8 agosto 1982

Equipaggio 1° classifcato :

1° reme Lorenza Rum
2° reme Letizia Fantoni
3° reme Sabrina Basini
4° reme Flora Milani
Timoniere Paolo Fanciulli

Gara del Palio femminile del 2015

1. Chiesa
2. Moletto
3. Saraceno

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